Miomectomia multipla e inadeguato trattamento post operatorio: ciò è quanto deduce la paziente che cita a giudizio la Struttura romana addebitando l’inadeguata assistenza che conduceva alla perdita dell’utero. (Tribunale di Roma, Sentenza n. 1043/2022 pubbl. il 24/01/2022-RG n. 82053/2017) .

Miomectomia multipla veniva eseguita in tecnica laparoscopica e la paziente subito dopo lamentava febbre alta e forti dolori addominali, e si registrava un’abbondante fuoriuscita di sangue dal drenaggio della ferita. Ciònonostante veniva effettuata una spremitura della ferita chirurgica, al fine di svuotare la raccolta di sangue addensatasi sotto la ferita, indice di un sanguinamento che non accennava ad arrestarsi; nonostante la prescrizione di un’ecografia di controllo dell’ematoma, non veniva effettuato alcun esame e il successivo 26 febbraio si registrava un peggioramento degli esami ematici, segnatamente una repentina caduta dell’emoglobina compatibile con una emorragia, globuli bianchi e neutrofili al di sopra dei parametri. Il successivo  27 febbraio veniva dimessa senza l’effettuazione di alcuna visita ginecologica di controllo, con rialzo febbrile e dolori addominali, e con rimozione frettolosa del drenaggio, tenuto conto del fatto che fino al giorno precedente si constatava una importante fuoriuscita di materiale sieroso dalla ferita.

Eseguito l’intervento di miomectomia multipla, alle dimissioni non veniva prescritta nessuna terapia e il 12 marzo, alla paziente ripresentatasi presso l’Ospedale veniva prescritta una terapia antibiotica ed eseguita una ecografia pelvica  che evidenziava la presenza di diverse raccolte di sangue, la prima sopra e sotto fasciale, la seconda tra vescica ed utero, la terza all’interno dell’utero.

La paziente si trasferiva a Lecce e persistendo i dolori in zona pelvico addominale e la continua perdita di materiale ematico (pus misto a sangue), si rendeva necessario un ricovero presso il nosocomio di Taranto (dal 24 marzo al 3 aprile).

Durante tale degenza veniva effettuata una TAC che evidenziava la presenza di una fistola addomino -uterina, tale da rendere necessario un intervento chirurgico di isterectomia.

La donna contesta alla Struttura romana di non essere stata tempestivamente sottoposta a terapia antibiotica.

La Struttura romana respinge ogni responsabilità e chiama in causa l’ospedale di Taranto addebitandogli la soluzione chirurgica più drastica e mutilante.

La CTU ha evidenziato che : “1) la ricorrente in data 23 febbraio 2015 si ricovera a Roma per essere sottoposta ad intervento chirurgico di laparomiomectomia multipla; nel corso dell’intervento viene attuata profilassi antibiotica; 2) in data 24 febbraio 2015 è presente un rialzo termico con temperatura a 37,6° e vengono riscontrati 300 cc di drenaggio con conseguente medicazione della ferita perché sporca (vedi diario clinico in atti); 3) il 25 febbraio viene nuovamente medicata la ferita e si apprezza alla palpazione ematoma di circa 5 – 6 cm nella zona superiore sinistra della sutura, che viene s premuta con fuoriuscita di sangue dal foro del drenaggio, con relativo miglioramento della condizione della paziente; viene richiesta ecografia della parete addominale; 4) il 26 febbraio viene constatata assenza di rialzo termico, viene rimosso il drenaggio, disposta ecografia della parete addominale per possibile ematoma e richiesto un emocromo urgente; 5) il successivo 27 febbraio 2015 la ricorrente viene dimessa con assenza di rialzo termico, globuli bianchi n ella norma, emoglobina a 9,9 gr/dl; viene me dicata la ferita ;6) il periodo post operatorio è decorso senza problematiche cliniche, i parametri emodinamici ed ematochimici sono risultati congrui con l’intervento chirurgico effettuato, e non hanno evidenziato quadri clinici riferibili a condizioni flogistico – infettive patologiche; corretta sia l’antibiotico – profilassi che l’applicazione di un drenaggio intraperitoneale necessario per la complessità dell’intervento chirurgico, non utile una terapia antibiotica supplementare da somministrare nel periodo post operatorio”.

Il Collegio peritale ha rilevato “la particolare complessità dell’intervento chirurgico eseguito in paziente già sottoposta ad intervento di miomectomia multipla nel 2008 , tenuto conto del fatto che con l’intervento eseguito nel febbraio 2015 risultano asportati n. 10 miomi , il più grande dei quali di dimensioni pari a circa 8 -9 cm, e, proprio a cagione della intrinseca complessità dell’intervento chirurgico, l’attrice è risultata esposta ad un maggior rischio di incidenza di complicanze postoperatorie”.

Ad ogni modo, i CTU non hanno individuato elementi di criticità riguardo l’esecuzione tecnica dell’intervento sicché, tenuto conto della ridetta complessità, le complicanze che si sono verificate ” sono da interpretare come complicanze imprevenibili, seppur prevedibili, ed è pertanto possibile affermare che a carico della equipe chirurgica in occasione del primo ricovero dell’attrice, non sussistono elementi di imperizia tali da configurare ipotesi di responsabilità professionale “.

In relazione al secondo ricovero della ricorrente, sempre presso la Struttura romana, i CTU hanno rilevato “ elementi di criticità nella condotta assistenziale posta in essere dal personale sanitario,  in quanto, proprio in riferimento all’elemento di prevedibilità, di maggior incidenza di complicanze connesse all’intervento chirurgico in un peculiare contesto anatomico – anamnestico (pregresso intervento di miomectomia multipla), l’equipe medica avrebbe dovuto porre in essere un approfondimento diagnostico ed un approccio terapeutico (medico e/o chirurgico) più adeguato ed appropriato al caso specifico, e non limitarsi ad un’attività sanitaria risultata perlopiù di attesa. Nel corso del secondo ricovero, ricordiamo resosi necessario proprio dall’accentuazione del dolore pelvico e dal rialzo febbrile in un soggetto con anamnesi di recente intervento la parotomico di miomectomia multipla e con evidenza – persistenza di raccolta addominale, la signora veniva sottoposta in un’occasione (17 marzo 2015) a visita medica ed ispezione della ferita chirurgica e dimessa in data 19 marzo 2015 , con la sola programmazione di un controllo a 15 – 20 giorni di distanza e somministrazione di Flagyl e Clexane, nonostante l’esame ecografico effettuato in data 17 marzo 2015 avesse rilevato la persistenza di ampie raccolte organizzate a livello pelvico e sotto e soprafasciali. Un approfondimento diagnostico appropriato posto in essere durante il secondo ricovero dell’attrice ed un atteggiamento clinico più sensibile e proattivo nei confronti della problematica rappresentata dalla persistenza delle raccolte organizzate, avrebbe consentito di attuare tempestivamente una strategia terapeutica (conservativa e/o chirurgica) adeguata volta a prevenire la progressione delle raccolte individuate . Per tali ragioni è possibile affermare come una non adeguata gestione assistenziale nel corso del ricovero dell’attrice del 12 marzo 2015 da parte della equipe sanitaria ha determinato un ritardo diagnostico e terapeutico che è causalmente correlabile con la formazione della fistola parieto- uterina ed il conseguente intervento chirurgico di isterosalpingectomia bilaterale . L’analisi del nesso causale tra l’evento lesivo sopra rappresentato (fistola parie to- uterina e l’intervento di isterosalpingecto mia bilaterale) e l’attività sanitaria posta in essere dal personale medico durante la degenza del 12 marzo 2015, effettuato attraverso l’applicazione e lo studio integrato della classica criteriologia medico – legale (criterio cronologico, della continuità fenomenologica, idoneità lesiva, epidemiologico -statistico e giudizio di esclusione) permette di ottenere una convergenza uniforme verso il giudizio di ammissione del nesso di  causalità”.

Accertati, pertanto, profili di responsabilità professionale a carico delle equipe sanitaria dell’Ospedale di Roma per l’inadeguata gestione sanitaria dell’attrice nel corso del ricovero del 12 marzo 2015, post intervento di miomectomia multipla.

In riferimento all’intervento di isterectomia eseguito presso l’Ospedale di Taranto la CTU ha evidenziato che “la scelta chirurgica radicale e demolitiva è stata necessitata dalla evidente inefficacia della terapia conservativa antibiotica posta in essere in occasione del primo ricovero, e l’attività prestata dal personale sanitario di Taranto risulta improntata agli ordinari criteri di perizia, diligenza e prudenza, con conseguente esclusione di profili di responsabilità professionale.”

Il danno biologico permanente è stato stimato nella misura del 10% e alla donna viene liquidato l’importo di € 3096,80 per il ristoro del danno da inabilità temporanea assoluta; euro 2212,00 attuali per il ristoro del danno da inabilità temporanea parziale al 50% ; euro 18.155,34  per danno biologico.

Il Tribunale ritiene di personalizzare la liquidazione del danno, tenuto conto del fatto che gli esiti di isterectomia incidono fortemente sul modo di percezione della femminilità da parte della donna, e ciò a prescindere dal profilo legato alla procreazione, e liquida l’importo di euro 23601,94.

Avv. Emanuela Foligno

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