Morte del congiunto avvenuta venticinque minuti dopo l’incidente: a madre e sorella non spetta il risarcimento del danno “iure hereditario”

La morte del congiunto in incidente stradale

Madre, sorella, zii e cugini della vittima di un incidente stradale convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino, la conducente e proprietaria dell’autovettura investitrice, nonché la compagnia assicurativa di detto veicolo, per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della morte del loro congiunto avvenuta nel luglio del 2008.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale dando atto del versamento da parte della compagnia assicuratrice della somma di 335.000,00 euro condannò le convenute, in solido, al pagamento della residua somma di 80.225,16 euro e 9.342,48 euro rispettivamente in favore della madre e della sorella della vittima; rigettò invece le domande proposte dagli altri congiunti.

La Corte d’Appello confermò la decisione di primo grado. Inutile il ricorso per Cassazione.

In primo luogo, i giudici della Suprema Corte hanno ribadito che “in materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicché, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo” (Cass. S.U. 15350/2015; conf., da ultimo, Cass. 28989/2019).

Si è anche detto che il danno non patrimoniale da perdita della vita non è indennizzabile “ex se”, e che non può essere invocato il “diritto alla vita” di cui all’art. 2 CEDU, norma che, pur di carattere generale e diretta a tutelare ogni possibile componente del bene vita, non detta specifiche prescrizioni sull’ambito ed i modi in cui tale tutela debba esplicarsi; né, in caso di decesso immediatamente conseguente a lesioni derivanti da fatto illecito, impone necessariamente l’attribuzione della tutela risarcitoria, il cui riconoscimento in numerosi interventi normativi ha comunque carattere di specialità e tassatività ed è inidoneo a modificare il vigente sistema della responsabilità civile, improntato al concetto di perdita-conseguenza e non sull’evento lesivo in sé considerato (Cass. 14940/2016; conf., da ultimo, Cass. 28989/2019).

Nella specie, era stato accertato che il decesso della vittima fosse avvenuto circa venticinque minuti dopo il sinistro e che pertanto, in applicazione dei suddetti principi, non potesse essere risarcito il danno “iure hereditario” in favore della madre e della sorella.

Priva di fondamento è stata pure ritenuta la doglianza relativa alla violazione degli artt. 1123, 1226, 2056 c.c., per non aver la Corte territoriale accolto la richiesta presentata dalla madre della vittima, volta ad ottenere il risarcimento del danno patrimoniale dalla stessa subito per effetto della perdita della contribuzione economica, da parte del figlio defunto, alle spese della famiglia.

Come di recente chiarito dalla giurisprudenza, “l’importo della rendita per l’inabilità permanente, corrisposta dall’INAIL per l’infortunio “in itinere” occorso al lavoratore, va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito, in quanto essa soddisfa, neutralizzandola in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo al quale sia addebitabile l’infortunio, salvo il diritto del lavoratore di agire nei confronti del danneggiante per ottenere l’eventuale differenza tra il danno subito e quello indennizzato” (Cass. S.U. 12566/2018); la Cassazione, successivamente, ha anche precisato che “la rendita vitalizia in favore del coniuge superstite del lavoratore vittima di un infortunio “in itinere” … assolve ad una funzione di “anticipo” del ristoro del danno da perdita degli apporti economici garantiti dal familiare deceduto, e va quindi detratta dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, da parte del terzo responsabile del fatto illecito ai congiunti, i quali, di conseguenza, hanno diritto ad ottenere l’importo residuo, nel caso in cui il danno liquidato sia stato soltanto in parte coperto dalla predetta prestazione assicurativa, e non somme ulteriori”.

Inammissibile, poi, la richiesta di risarcimento degli zii e cugini.

È noto, infatti, che in caso di risarcimento del danno da perdita (o da lesione) del rapporto parentale quale conseguenza della morte (o di una non lieve lesione) di un congiunto, il pregiudizio si compone di due essenziali elementi, da risarcire unitariamente, costituiti dalla sofferenza eventualmente patita, sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore, e quella che eventualmente si sia riflessa, in termini dinamico-relazionali, sui percorsi della vita quotidiana del soggetto che l’ha subita (mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, con fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita); conf. Cass. 28989/2019).

La parte interessata potrà fornire la prova di tale danno anche con ricorso a meccanismi presuntivi, con riferimento a quanto ragionevolmente riferibili alla realtà dei rapporti di convivenza e dalla gravità delle ricadute della condotta, e spetterà al giudice del merito il compito di procedere alla verifica, sulla base delle evidenze probatorie complessivamente acquisite, l’eventuale sussistenza di uno solo, o di entrambi, i profili di danno non patrimoniale sopra descritti.

La decisione

A tal fine, può essere utilizzato il dato della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale (coniuge, convivente, figli, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino), senza escludere anche altri rapporti e legami parentali di più lontana configurazione formale (rispetto a quelli in precedenza elencati) o financo di assente configurazione formale (vedi rapporto affettivo con i figli del coniuge o del convivente) per i quali tuttavia venga rigorosamente dimostrata la consistente ed apprezzabile dimensione affettiva.

Ebbene, nel caso in esame, la valutazione compiuta dalla Corte di merito è risultata congrua e immune da vizi logici e pertanto, incensurabile in sede di legittimità. In definitiva, il ricorso è stato rigettato (Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, sentenza n. 11437/2020).

Avv. Sabrina Caporale

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