Risulta accertato che alla paziente sono state fornite terapie inadeguate ed errate con un danno biologico permanente nella misura del 5% (Tribunale di Roma, Sentenza n. 8325/2021 del 12/05/2021 RG n. 68502/2017)

Con atto di citazione la paziente esponeva:

  • che nel marzo del 2009, si era recata presso lo studio medico odontoiatrico del convenuto al fine di sottoporsi a visita per valutare la necessità di intraprendere un trattamento odontostomatologico;
  • che dopo l’esecuzione di una radiografia ortopanoramica, il Medico aveva predisposto un preventivo dell’ammontare complessivo di euro 31.100,00 individuando un piano terapeutico che prevedeva l’esecuzione di cure in un periodo oscillante tra due e tre anni; che essa attrice aveva versato due acconti di cui il primo di euro 11.000,00 corrisposto in data 22/12/2009 e il secondo di euro 7000,00 versato in data 23/12/2010, per complessivi euro 18.000,00
  • che nel corso dell’ iter terapeutico estrattrice aveva sofferto di costanti algie nelle zone trattate e aveva riportato anche i frequenti episodi ascessuali;
  • che le cure odontoiatriche si erano protratte per un tempo notevolmente superiore a quello inizialmente indicato ma senza la risoluzione delle patologie;
  • che aveva dovuto patire anche il posizionamento di antiestetiche corone protesiche provvisorie, applicate in corrispondenza degli incisivi superiori, che le avevano arrecato non pochi disagi sia fisici che psicologici;
  • che i manufatti in questione erano instabili ed erano causa di deficit masticatorio con conseguenti difficoltà nell’alimentazione;
  • che le medesime protesi erano soggette a improvvisi distacchi, come era accaduto nel novembre del 2012 nel corso di una cena al ristorante con amici con conseguente grave imbarazzo;
  • che tale episodio non era rimasto isolato;
  • che, a seguito di ulteriori controlli presso altri specialisti, aveva maturato il convincimento che le cure praticate dal convenuto non avessero fatto che ulteriormente aggravare la sua già delicata situazione odontoiatrica;
  • che, ogni tentativo di risolvere la controversia per le vie bonarie non aveva sortito alcun effetto; che, conseguentemente, aveva richiesto un ATP innanzi al tribunale di Roma affinché fossero accertate le sue condizioni di salute (RG 69993/2015);
  • che la relazione peritale aveva individuato profili di colpa del sanitario, ma aveva altresì operato una quantificazione del danno che era stata contestata dai propri consulenti di parte.

Si costituisce in giudizio l’Odontoiatra deducendo che la domanda dell’attrice è infondata anche alla luce delle risultanze della C.T.U. eseguita nel procedimento n. 6999/2015 avendo il C.T.U. concluso nel senso che “confrontata la situazione pre-cure con quella attuale si nota che per quanto concerne tali elementi (12 11 21 22 ) si ritiene che il resistente sia intervenuto sugli stessi non cagionando un danno ulteriore”; che il medesimo C.T.U. aveva ritenuto sussistente esclusivamente un “danno a carico di tre elementi: 17 …25 e 47” con un danno biologico permanente dato dalla perdita di tre elementi dentali (17 – 25 – 47) pari al 2% emendabile a ½ mediante protesi implantare e corone fisse e, quindi, pari all’1%; che, inoltre, si poteva stimare “congruo un periodo di inabilità temporanea parziale al 5% per un totale di giorni 323.”

La domanda risarcitoria per terapie inadeguate viene ritenuta fondata e trattenuta in decisione senza attività istruttoria, con la sola effettuazione di CTU Medico-Legale.

I CTU hanno ritenuto che “la diagnosi delle patologie ortodontiche riscontrate sulla paziente secondo il preventivo di 31000 EUR effettuato e consegnato alla paziente è stata corretta per quanto concerne la rarefazione apicale ed il ritrattamento dei denti 22, 27, 12, 25 e 17 (per incompleta chiusura canalare del canale mesiale). In tale piano di cure non sono state preventivati e quindi diagnosticati i ritrattamenti (poi effettuati) dei denti 21,11,22, per rarefazioni apicali. Il dente 23, seppur ritrattato endodonticamente, non sembrava presentare tale necessità di cura (ma solo di perno e capsula) e non è stato preventivato, ma poi è stato ritrattato. La carie sottominata su 14 non è stata diagnosticata e preventivata, ma poi è stato eseguito il trattamento canalare. La otturazione per carie distale del 16 non è stata diagnosticata né preventivata, ma poi è stata eseguita. Non è possibile stabilire se le otturazioni per carie sul 13 e sul 15, non preventivate e quindi non diagnosticate inizialmente e poi eseguite, erano necessarie. Il dente 27, che presentava una grossa rarefazione apicale, non è stato diagnosticato invece è stato preventivato solo per l’esecuzione del perno e della capsula, evidenziandosi così un errore di diagnosi e di trattamento; comunque poi non è stato trattato. Sull’elemento 47 è stato preventivato e quindi diagnosticato un perno moncone e capsula, ma poi è stata eseguito anche un ritrattamento canalare”.

“Gli eventuali errori iniziali di diagnosi non sono da attribuirsi ad incompletezza di indagini strumentali. La rx iniziale appare abbastanza chiara. Il caso non rispondeva ad oggettiva difficoltà di interpretazione dei dati clinici e strumentali. La causa dei descritti errori va ricercata in una non condivisibile condotta diagnostica-terapeutica, sotto il profilo della diligenza e della perizia professionale”.

“La scelta dei trattamenti eseguiti non presentava rischi particolari e adeguati al caso specifico. Dal diario clinico risultano appuntamenti da aprile 2009 a luglio 2014 nei quali venivano descritte le cure sopra elencate. Appare evidente quindi la presenza di aree radiotrasparenti a livello apicale su alcuni degli elementi previsti dal piano di cure, già esistenti precedentemente al suo intervento. Appare eccessivo il prolungarsi delle cure odontoiatriche espletate su tali elementi: dette cure sono iniziate ad aprile 2009 e terminate per volontà della ricorrente a settembre 2014, ed altresì eccessivo appare anche il tempo trascorso tra una medicazione ed un’altra oltre che il tempo trascorso per intervenire su altri elementi dentari nel mentre se ne curavano una parte. Al termine del lungo periodo di cure la paziente non ha risolto le problematiche dentali preesistenti se non in parte: le otturazioni in composito sono state effettuate, come anche l’endodonzia sul 14, su cui però non vi è poi stata una riabilitazione protesica definitiva anzi l’elemento è stato poi estratto. Il dente 27 seppur diagnosticato non risulta essere stato trattato, alcuni elementi dentali ad oggi risultano persi (il 25 per frattura longitudinale della componente radicolare come da rx allegate, il 47 e il 17, e il 22) e le corone protesiche definitive non sono dunque state mai applicate su nessuna delle due arcate. Il trattamento parodontale su entrambe le arcate risulta eseguito secondo il diario clinico allegato agli atti (la situazione clinica attuale non permette di accertarlo; non è possibile valutare trattamenti paradontali con courettage ed igiene orale in quanto non oggettivamente dimostrabili), la riabilitazione protesica è avvenuta soltanto in alcune delle sedi inizialmente previste e solo con corone protesiche provvisorie e mai definitive come invece previsto da preventivo. Pertanto, la situazione della ricorrente non rispetta, se non in parte, quanto indicato nel preventivo redatto Non si può in ogni caso non sottolineare che la documentazione sanitaria redatta dal professionista non brilla per precisione e non consente sempre un’accurata ricostruzione del percorso clinico”.

Inoltre, i CTU hanno rilevato: “danno certo a carico degli elementi: 25 per frattura longitudinale della radice e 22 perché la preparazione per il perno moncone viene effettuata senza eseguire la chiusura canalare. Si rileva un danno probabile, secondo criterio comunque di probabilità qualificata, seppur non con certezza dimostrabile in modo oggettivo, a livello del dente 47 e del 14 e 17……. Si ritiene – secondo la Guida valutativa SIMLA, tenuto altresì conto della specifica situazione dentaria nonché della tipologia e quantità dei denti perduti che il danno biologico permanente dato dalla perdita certa di 2 elementi dentali (25 = 1.25% – 22 = 1.5%) sia pari al 2,75%, tuttavia emendabile a 1/2 (1,37%), mediante protesi implantare e corone fisse. Si ritiene altresì che, sulle predette basi, vi sia un danno biologico permanente dato dalla perdita probabile, secondo qualificato nesso causale, di 3 elementi dentali (47 = 1.5% – 14 = 1.25 – 17 = 1.25) pari al 4,25% emendabile a 1/2 (2,12%), mediante protesi implantari e corone fisse. In merito la dottrina medico -legale e l’odontoiatria forense, da sempre riconoscono l’opportunità di ridurre il danno biologico in caso di protesizzazione, procedendo poi al rimborso delle spese sostenute ed eventualmente sostenende. Inoltre, si può ritenere congruo un prolungato periodo subito di inabilità temporanea parziale al 5% per un totale di anni 2 (giorni 730), vale a dire i giorni in cui, come da diario clinico allegato agli atti, la signora si è recata presso lo studio odontoiatrico considerati eccessivamente protratti, oltre il ragionevole, per le cure eseguite e per i disagi relazionali subiti. Infine, considerati gli interventi futuri si dovrà aggiungere un periodo di inabilità temporanea parziale al 5% per un totale di giorni 60. In proposito si sottolinea che nel periodo di invalidità temporanea la sig.ra ha subito indubbi disagi legati all’eccessivo protrarsi del trattamento, con conseguenti disagi psicologici -relazionali legati alle alterazioni estetiche ma anche funzionali, per la ridotta capacità masticatoria, data l’instabilità e precarietà dei trattamenti provvisori. Di tali considerazioni qualitative si potrà certamente giovare il Magistrato ai fini di un equo apprezzamento dell’effettivo valore del danno biologico temporaneo così come da noi indicato”.

Ciò posto, competono alla paziente: IP al 3,5% danno biologico permanente = euro 2.991,63; ITP al 5% per 790 giorni (730 + 60) = euro 1.875,86, per complessivi euro 4.867,49.

A detto importo viene aggiunto il danno morale soggettivo patito per effetto delle sofferenze psicologiche, dei disagi personali e delle ordinarie conseguenze relazionali connesse a una situazione ortodontica precaria e insoddisfacente. Detto danno viene calcolato con la maggiorazione di un terzo e, quindi, in euro 1.622,33 per un ammontare complessivo di euro 6.489,82.

Per quanto riguarda il danno patrimoniale, con riferimento all’inadempimento contrattuale e alla relativa risoluzione del contratto, l’Odontoiatra deve restituire alla paziente l’importo complessivo di euro 18.750.00.

In conclusione, il Tribunale di Roma, condanna il convenuto al pagamento in favore dell’attrice della somma complessiva di euro 38 .750,39, oltre interessi; condanna il convenuto al pagamento in favore dell ‘attrice delle spese di lite liquidate in complessivi euro 7.254,00 oltre accessori di legge; accoglie parzialmente la domanda di chiamata in garanzia proposta dal convenuto nei confronti della terza chiamata e, per l ‘effetto, condanna l’Assicurazione a mantenere indenne il detto convenuto dal pagamento nel limite della somma di euro 23 .048,45.

Avv. Emanuela Foligno

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