Lo shock emorragico post parto cesareo non poteva evitarsi  poiché causata da atonia pura dell’utero e non  da condotte colpose dei ginecologi, anche se non hanno rispettato correttamente le linee guida

Due ginecologi venivano rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce per avere, con cooperazione di condotte colpose, per negligenza, imprudenza ed imperizia, inosservanza della regulae artis che disciplinano la professione medica, cagionato a una donna lesioni gravissime con pericolo di vita e perdita della capacità di procreare, consistite in emiperitoneo da atonia uterina severa con shock emorragico con fibromatosi uterina e con necessario intervento di laparo-isterectomia totale con ovaro-salpingectomia destra.

Nello specifico ai Medici veniva contestato di non avere monitorato adeguatamente e tempestivamente, nonchè di annotare, come per legge, in cartella clinica l’andamento delle condizioni post-operatorie della paziente che presentava emorragia post-partum di particolare rilievo, in particolare nell’arco temporaneo dalle 16.30 alle 19.00, non approntando di conseguenza un efficace, veloce e adeguato trattamento sanitario con conseguente insorgenza delle complicanze, trasferimento ad altra Struttura e intervento chirurgico demolitivo di isterectomia totale.

il Tribunale di Lecce, assolveva entrambi i Medici dal reato loro ascritto per insussistenza del fatto.

Pubblico Ministero e parti civili propongono impugnano la sentenza di assoluzione e la Corte d’Appello di Lecce confermava la decisione di primo grado condannando alle spese di giudizio.

Avverso tale provvedimento propone ricorso per Cassazione  (Cassazione penale, sez. IV, sentenza n. 27239 del 1 ottobre 2020), ai soli effetti civili, una delle parti civili deducendo nullità della sentenza per violazione di norme penali sostanziali e processuali e per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in tema di colpa e di nesso di causalità.

Deduce, inoltre, la parte civile  l’ammissibilità dell’impugnazione anche se il reato, oggetto di addebito nel processo, si è estinto per intervenuta prescrizione, ricordando che, se nelle more, dopo l’emanazione della sentenza assolutoria emessa nel giudizio d’appello, sia maturata la prescrizione, l’impugnazione del PM è inammissibile, mentre quella proveniente dalla parte civile non è suscettibile di analoga sanzione processuale.

Secondo la ricorrente, i Giudici di merito non avrebbero esaminato tutti gli elementi a loro disposizione e non avrebbero fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti.

Il Tribunale, dopo aver esaminato il contenuto della consulenza di parte civile approdava alla conclusione secondo cui i profili di colpa emergenti, certamente di rilievo, non erano stati contestati dal PM e quindi non potevano fondare un giudizio di responsabilità degli imputati.

In ogni caso -sempre secondo la ricorrente- il Giudice di primo grado errando escludeva un nesso di causalità tra la condotta dei Medici e l’evento lesivo verificatosi, in forza delle conclusioni dei Consulenti del PM.

Inoltre, non veniva presa in considerazione la presenza, o meno, delle linee guida a cui avrebbero dovuto attenersi i sanitari portati a giudizio.

La donna iniziava a stare male per l’insorgere della emorragia poco dopo le ore 16.30; le infermiere del reparto intervennero e praticarono pressioni sull’addome che provocarono dolore e non arrestarono la copiosa emorragia.

La donna subiva atroci sofferenze per quelle manovre, portate avanti sino alle ore 20 di sera. In quell’arco temporale tre Medici si occupavano della donna e iniziavano le manipolazioni dell’utero.

Tutto ciò si protrasse per 3 ore finchè si disponeva il trasferimento della donna presso altra Struttura.

La CTU, svolta in secondo grado su richiesta del P.M. appellante, riportava che l’evento emorragico appariva alle 18.20-18.30, tenendo conto -per l’indicazione dell’orario- solo delle dichiarazioni del marito della ricorrente, trascurando quelle della parte civile e di due testi che collocavano, invece, l’evento intorno alle 17 ed a partire da quel momento anche le pratiche, dolorosissime, di manipolazione dell’utero.

I Consulenti concludevano, quanto all’operato di uno dei Medici, per profili di mancato rispetto delle linee guida e inadeguatezza della struttura sanitaria, alla decisione di intervenire chirurgicamente non condivisa dall’anestesista e alle cure mediche cui la donna non fu adeguatamente sottoposta nelle more del trasferimento, così come l’assenza di annotazioni sulla cartella clinica dalle 16,30 alle 18,20-18.30.

Inoltre, nella sentenza impugnata la Corte di merito prende atto che l’atonia uterina è causa delle emorragie post parto nel 90% dei casi, cosi come indicato nella relazione dai periti d’ufficio che indicano come primaria quella insorta entro le 24 ore dal parto e ciò nonostante non approdano alla risoluzione di ritenere l’emersione di una emergenza già tra le 16.30 e le 19.00 che imponeva l’immediato trasferimento della donna presso una struttura.

Implicitamente la Corte, quindi, dà atto che presso la Clinica non solo mancava una UOC di Anestesia e Rianimazione e un Centro Trasfusionale, ma anche il medico specialista in ginecologia per il turno pomeridiano.

Anche se i periti ricavavano conseguenze sotto il profilo del determinismo causale, ritenendo che la grave carenza della struttura abbia determinato la non tempestività delle prestazioni erogate e la non qualità delle stesse e soprattutto la necessità di affidarsi a strutture sanitarie più idonee, la Corte ha ritenuto, in un primo momento, che la ricostruzione dei Consulenti fosse del tutto condivisibile in termini logici e tecnici, ma poi, successivamente, smentendosi, affermava che la struttura della clinica risultava adeguata, avendo un’organizzazione strettamente dedicata al parto, e che in tal senso andassero pure superate le riserve espresse dai Consulenti d’ufficio.

I Consulenti attribuivano una preponderante incidenza nella determinazione dell’evento alle gravissime carenze organizzative della struttura sanitaria privata in cui operava l’imputato, conseguentemente le decisioni della Corte di merito appaiono illogiche e contraddittorie.

In punto di nesso causale, i Giudici di merito affermano che se anche il Medico nella prima fase della sua condotta (dalle ore 19 alle ore 20) avesse seguito le linee guida (esplorando la cavità uterina e verificando lacerazioni del canale del parto), non avrebbe evitato l’evoluzione del processo emorragico in atto, legato ad una patologia insorta in maniera naturale e cioè l’atonia pura dell’utero, senza lacerazioni anatomiche o presenza di residui placentari.

Anche le manovre addominali, praticate dalle 16.30 non hanno avuto nessuna incidenza causale della irreversibilità dell’atonia prodromica all’unica soluzione possibile dell’asportazione dell’utero.

Le linee guida, nei casi di emorragia conseguente ad atonia, prevedono prima l’intervento conservativo (intervento chirurgico conservativo come la devascolarizzazione pelvica sistematica con legatura delle arterie uterine ed iliache interne; la tecnica compressiva di B-Linch) e solo per ultimo, l’intervento demolitivo di isterectomia, così come concordemente esplicitato dal Consulente di parte e dal Consulente d’ufficio.

Gli Ermellini ritengono infondato il ricorso.

La doglianza inerente la mancata declaratoria di responsabilità degli imputati è finalizzata a ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in sede di legittimità.

La struttura della decisione d’Appello impugnata è sorretta da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e risulta corretta anche in punto di diritto.

La sentenza d’Appello, come quella di primo grado, ha fondato l’assoluzione dei Medici sulla mancanza di prova di un nesso di causalità materiale tra le condotte degli stessi, che pure si sono discostate dalle linee guida in materia, e l’evento lesivo patito dalla paziente.

Il profilo dell’accertamento del nesso di causalità di cui all’art. 40 cpv. c.p., è stato correttamente scrutinato dai Giudici di merito.

Il nesso causale -viene ricordato- può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

Non è legittimo dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poichè il Giudice deve verificarne la validità nel caso concreto.

L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla dinamica del nesso causale, ovverosia il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla efficacia condizionante della condotta omissiva rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi di colpa prospettata.

Difatti, la paziente dalle ore 12.10 alle ore 12.35 circa veniva sottoposta a intervento di taglio cesareo, consistente in laparotomia secondo Pfannestiel, isterotomia trasversale sul segmento uterino inferiore ed estrazione del feto in cefalica.

Sono segnalate in cartella clinica: esecuzione di elettrocardiogramma, somministrazione di antibiotico (Unasyn 3 grammi e.v.), esecuzione di taglio cesareo, somministrazione di uterotonicì (Syntocinon i fiala) e liquidi (soluzione glucosata 1000 c.c., soluzione fisiologica 1000 cc) e profilassi anti-trombotica (Clexane 2000 1 fiala).

Alle ore 14.30, è descritto: “utero contratto, lochiazione regolare; alle ore 1530: “utero contratto, lochi regolari; alle ore 16.30: “utero contratto urine 150 cc”; alle ore 19.00: “lochiazione abbondante atonia uterina PA 130/80 Syntocinon 5 VI ev. Methergin 1. fiale in soluzione fisiologica 500 c.c. + i fiala di Syntocinon” – alle ore 19.20: “atonia Nalador 1 fiala in 250 c.c. soluzione fisiologica; ore 19.30: PA 12/70 Emagel 500 ceNalador i fiala in 250 c.c. soluzione fisiologica; ore 20.00: ridotta la perdita, utero contratto emocromo PT PTT fibrinogeno FDP; ore 20.15: emotrasfusione 1 sacca”; alle ore 20.30: “si contatta la rianimazione, in attesa di disponibilità di posto si contatta il 118; si trasferisce.

La paziente veniva ricoverata presso la unità operativa di Ostetricia e Ginecologia di altra Struttura alle ore 23.25 con la diagnosi di: “shock emorragico in paziente sottoposta in altro istituto a taglio cesareo anemia secondaria grave”. La diagnosi conclusiva era di: “emoperitoneo da atonia uterina severa con shock emorragico affezioni concomitanti “fibromatosi uterma-terapia effettuata “laparo-isterectomia totale con ovaro-salpingectomia destra “.

In buona sostanza ai Medici viene contestato di avere omesso di monitorare adeguatamente, costantemente e tempestivamente, nonchè di annotare come per legge in cartella clinica l’andamento delle condizioni postoperatorie della paziente che presentava emorragia post-partum di particolare rilievo, in particolare nell’arco temporale dalle 16.30 alle 19.00.

Considerando gli esiti delle CTU del PM e degli imputati, il Giudice di primo grado riteneva accertato che solo alle ore 19,00 si instaurava il processo patologico descritto come eccessiva perdita ematica (lochiazione abbondante) ed atonia uterina, nella successiva sequenza di eventi, tutti debitamente riportati in sentenza, per cui valutava il comportamento dei sanitari adeguato alla situazione clinica ed irrilevante l’assenza di dati in cartella tra le 16,30 e le 19,00.

Ebbene, i CTU nel valutare presunte condotte omissive poste in essere dai sanitari per non avere effettuato un corretto monitoraggio della paziente dalle 16.30 sino alle 19.00, ribadiscono il giudizio già espresso dai CTU del Pubblico Ministero, e chiariscono che ciò che non risulta annotato in cartella clinica equivale, in assenza di elementi contrari, al “non fatto” o “non accaduto”, e non già ad una omissione di annotazione di condotte o manovre praticate;  sul punto la sentenza della Corte di Appello di Lecce è perentoria.

Anche se il Ginecologo ha omesso di eseguire una revisione della cavità uterina per verificare la presenza di residui placentari, o di eventuali lacerazioni sanguinanti, non avrebbe evitato la evoluzione del processo emorragico in quanto sostenuto da atonia pura dell’utero e non da lacerazioni anatomiche, ovvero dalla presenza di residui placentari.

Tale considerazione è essenziale.

L’evoluzione del processo emorragico era legata a una patologia insorta naturalmente: atonia pura dell’utero senza lacerazioni anatomiche o presenza di residui placentari.

Per tali ragioni il ricorso viene rigettato con condanna alle spese processuali e conferma della sentenza della Corte d’Appello di Lecce.

Avv. Emanuela Foligno

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