Il sequestro del contante era stato motivatamente disposto non ai sensi dell’art. 240 cod. pen. quale provento dello spaccio, ma sulla base della rilevata assenza di redditi leciti dell’imputato compatibili con tale importo

Tre anni, cinque mesi e dieci giorni di reclusione, oltre a 14 mila euro di multa e alla confisca di seimila euro in contanti. E’ la pena patteggiata da un uomo davanti al Gip per il reato di detenzione a fini di spaccio di plurimi quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e marijuana, oltre che per i reati detenzione illecita di arma da sparo e di munizioni.

Nel proporre ricorso per cassazione, l’imputato censurava il vizio della motivazione per illogicità in merito alla confisca del denaro sequestrato al momento dell’arresto, trattandosi di denaro rispetto alla cui provenienza aveva fornito adeguata documentazione attestante gli accrediti sul suo conto di importi di ben maggiore consistenza derivanti da una eredità paterna, tenuto conto del rinvenimento della somma all’interno di una cassaforte murata in camera da letto in banconote dal taglio non compatibile con i proventi dello spaccio (n.108 da 50 Euro e n. 6 da 100 Euro) e degli ulteriori introiti derivanti dalla sua attività lavorativa e da quella della propria moglie.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 10660/2020 ha ritenuto il ricorso è inammissibile per genericità del motivo proposto.

Per i Giudici Ermellini, la motivazione del provvedimento impugnato non presentava profili di illogicità o contraddittorietà, ma forniva una spiegazione della ritenuta non provata provenienza lecita del denaro di cui era stata disposta la confisca, coerente con l’analitica ricostruzione dei tempi e degli importi dei prelievi eseguiti in contanti dal conto corrente bancario circa due anni prima del rinvenimento del denaro caduto in sequestro e poi confiscato.

Nel caso in esame, contrariamente a quanto prospettato dalla parte ricorrente, non poteva ravvisarsi una carenza nell’impianto logico della motivazione, perché la confisca era stata motivatamente disposta non ai sensi dell’art. 240 cod. pen. quale provento dello spaccio, ma sulla base della rilevata assenza di redditi leciti dell’imputato compatibili con tale importo.

Gli accrediti di somme di denaro sul conto, erano stati analizzati con riguardo agli addebiti per le uscite di denaro in contante che risalivano a due anni prima dal rinvenimento del denaro nella cassaforte sita nell’abitazione dell’imputato.

Quindi l’importo di seimila euro della somma di denaro in contanti rinvenuta a distanza di due anni dall’ultimo pur consistente prelievo di 10 mila Euro, in considerazione delle spese verosimilmente ingenti affrontate per gli acquisti di cocaina e per le altre spese quotidiane, non era stato ritenuto compatibile con la tesi difensiva secondo cui si sarebbe trattato della somma residua dai prelievi effettuati da detto conto, in considerazione anche delle ingenti spese ricollegate all’illecita attività di acquisto e cessione di sostanze stupefacenti.

La redazione giuridica

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