Se il lavoratore fruisce del congedo e dei permessi per prestare assistenza al familiare affetto da handicap grave, non rileva, ai fini della applicazione della normativa sul diritto al trasferimento di cui all’art. 33, comma 5 L. n. 104/92, che vi siano o meno altre persone della famiglia che potrebbero prestare assistenza al familiare disabile

La vicenda

Una impiegata con mansioni di addetta al recapito presso un ufficio postale in provincia di Verbania, aveva lamentato il mancato trasferimento nel comune di residenza della propria suocera in provincia di Potenza, o in altro più vicino, al fine di poterla assistere, in quanto affetta da handicap grave.

Poste Italiane s.p.a., costituitasi in giudizio, aveva chiesto il rigetto del ricorso, deducendo, in sintesi che non vi fosse prova della insussistenza di altri familiari che potessero assistere la persona disabile; che vi era eccedenza di organico presso le sedi per le quali la ricorrente aveva invocato il trasferimento, mentre presso il centro di distribuzione di Verbania vi era una vacanza di posti in organico.

Come è noto, l’art. 33, comma 5 della legge n. 104/1992, come modificato dalla L. n. 53 del 2000, e, successivamente, dall’articolo 24, comma 1, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183, prevede che: “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”. Il comma 3 a sua volta individua il beneficiario di tale disciplina nel “lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (..)”.

La giurisprudenza di legittimità

Per consolidata giurisprudenza, “Il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato con lui convivente, di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio deve essere inteso – sia in base ad argomenti letterali, sia in base ad argomenti sistematici – nel senso della possibilità di suo esercizio tanto al momento dell’assunzione, quanto in costanza di rapporto” (Cass. sez. lav., 16298/15; Trib. Roma sez. lav., 10/01/2019).

È stato altresì affermato che: “Per effetto delle sopravvenute modifiche legislative, il diritto all’assegnazione presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere viene ora riconosciuto al lavoratore che assiste una persona con handicap in situazione di gravità, anche nel caso in cui difettino i requisiti della “continuità” e della “esclusività” dell’assistenza. In altre parole, atteso che il comma 5 dell’art. 33, L. 104/92 (trasferimenti) rimanda al comma 3 (permessi) per individuare i beneficiari del trasferimento, è necessario comunque che il lavoratore presti assistenza ad un parente o affine in situazione di handicap grave, anche saltuariamente e non in via esclusiva. Sicché deve ritenersi che, venuti meno i requisiti della continuità e dell’esclusività, sia oggi sufficiente, in ipotesi, anche un solo atto di assistenza svolto in favore del disabile per far scattare il meccanismo di cui al comma 5, pur sempre occorrendo che tale assistenza sia effettivamente prestata” (Tribunale Bari, sez. lav., 29/05/2018; T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, 30/05/2012, n. 1060).

La ripartizione dell’onere della prova

Ebbene, nel caso in esame, era pacifico che la lavoratrice fruisse sin dal 2007 del congedo e dei permessi per prestare assistenza alla suocera, affetta da handicap grave, sicché doveva ritenersi irrilevante, ai fini dell’applicazione della normativa in esame, che vi fossero o meno altre persone della famiglia che potessero prestare assistenza al familiare disabile.

Peraltro, come ha ricordato il Tribunale di Roma (Terza Sezione, sentenza n. 2524/2020), grava sul datore di lavoro l’onere della prova delle circostanze impeditive dell’esercizio del diritto del familiare lavoratore, che assiste un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, circostanze ravvisabili in fatti che ledano in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro (Cass., sez. lav., 18223/11; Trib. Milano, 17/07/2018, n. 846).

Si è detto, infatti, che se è vero che tale diritto non si configura come incondizionato, giacché esso – come dimostrato anche dalla presenza dell’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere allorquando, alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli interessi implicati, il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative dell’impresa, è pur vero che grava sulla parte datoriale, pubblica o privata, l’onere della prova di siffatte circostanze ostative all’esercizio o dell’anzidetto diritto (Cass., sez. lav. n. 3896/2009, Cass. sez. lav., ord. 23857/17).

Il diritto del dipendente al trasferimento

Ne consegue che la richiamata norma di favore, benché non attribuisca un diritto assoluto, non può tuttavia essere pretermessa, ove si discuta della individuazione della sede di lavoro di un lavoratore che ne sia beneficiario, né consente che tale diritto sia sacrificato se non a fronte di rilevanti esigenze economiche, organizzative o produttive dell’impresa, che è onere del datore di lavoro allegare, prima, e provare, poi. Va, infatti, ricordato che, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 246 del 1997), la garanzia della vicinanza del luogo di lavoro rispetto alla residenza è strumento che agevola la tutela dell’integrità fisica del disabile e, quindi, ha la sua base negli artt. 4, 32 e 38 Cost., pur dovendo essere bilanciata con il potere organizzativo e direttivo dell’imprenditore, riconosciuto dall’art. 41 Cost.

Il fatto poi che gli accordi sindacali sulla mobilità prevedano un trasferimento agevolato soltanto per assistere i figli conviventi o il coniuge convivente, che risultino affetti da patologie di particolare gravità, appare irrilevante, poiché gli accordi in questione possono, sì, migliorare le garanzie previste dall’art. 33, comma 5, in esame, ma non certo restringerne la portata sul piano soggettivo e oggettivo, stante il carattere preminente della legge nella gerarchia delle fonti e, nel caso di specie, il suo carattere imperativo, in quanto espressione di principi generali del nostro ordinamento giuridico.

La decisione

Tanto chiarito, nel caso in esame, la sussistenza di sedi disponibili nella provincia di Potenza era desumibile dalle allegazioni della società convenuta, la quale aveva affermato di aver dato corso a due trasferimenti nel corso del 2019 verso tale provincia, senza considerare la domanda della ricorrente a causa della sua posizione in graduatoria.

Il fatto poi che presso la sede di provenienza vi fossero delle scoperture non poteva considerarsi di ostacolo all’accoglimento della domanda di trasferimento, poiché, altrimenti, se tali scoperture avessero costituito un impedimento al trasferimento della lavoratrice, quest’ultima non avrebbe dovuto, come invece era stata, essere legittimata a partecipare ai trasferimenti in base alla citata graduatoria.

Per tutte queste ragioni, la domanda è stata accolta e Poste Italiane s.p.a. “condannata” a traferire la ricorrente presso la sede più vicina alla propria residenza tra quelle disponibili nella Provincia di Potenza.

Avv. Sabrina Caporale

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