La Corte di Cassazione ha chiarito quali sono le differenze tra il reato di uccisione di animali e quello meno grave di maltrattamento di animali, soffermandosi in particolare sugli elementi costitutivi della crudeltà e della necessità

La vicenda

La Corte di appello di Cagliari aveva confermato la decisione pronunciata dal giudice di primo grado che, all’esito del giudizio celebrato nelle forme del giudizio abbreviato, aveva condannato l’imputato alla pena di giustizia per il delitto, così riqualificato di uccisione di animali, di cui all’art. 544-bis c.p.

Contro tale sentenza la difesa dell’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione, contestando la reformatio in pejus cui il giudice di appello aveva dato corso riqualificando il fatto contestato dal delitto meno grave di maltrattamento di animali, di cui all’art. 544-ter c.p., a quello di uccisione di animali, di cui all’art. 544-bis c.p., ritenendo indiscutibile che l’azione posta in essere dall’imputato, “fosse stata sin da subito indirizzata e finalizzata alla eliminazione fisica dei due cani, non certo al maltrattamento fine a sé stesso”. In altre parole, l’uccisione dei cani, per il Tribunale, era avvenuta per crudeltà e senza necessità.

Il ricorso per Cassazione

Ad avviso della difesa, dunque, la Corte di merito aveva fatto malgoverno della norma incriminatrice di cui all’art. 544-bis c.p., con particolare riferimento agli elementi costitutivi della crudeltà e della necessità dell’uccisione di animali.

Ma i giudici della Suprema Corte (Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, sentenza n. 8449/2020), hanno rigettato il ricorso perché infondato.

Premesso che il delitto di cui all’art. 544-ter c.p. è integrato dal fatto di cagionare, per crudeltà o senza necessità, una lesione ad un animale ovvero di sottoporlo a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, con la previsione di un aumento di pena ove dalle indicate situazioni derivi la morte dell’animale, mentre il delitto di cui all’art. 544-bis c.p. è integrato dal fatto di cagionare, per crudeltà o senza necessità, la morte di un animale, ricorre l’ipotesi di cui all’art. 544-ter c.p., comma 3, che rientra nella categoria dei cd. reati aggravati dall’evento, ove la morte dell’animale, ancorchè costituisca una conseguenza prevedibile della condotta dell’agente, non sia riferibile ad un comportamento volontario e consapevole dello stesso, mentre ricorre la fattispecie di cui all’art. 544-bis c.p., laddove si accerti, invece, che l’agente abbia agito con la volontà, diretta o anche solo eventuale, di cagionare la morte dell’animale. “Da ciò consegue la correttezza dell’operata sussunzione del fatto commesso dall’imputato, siccome accertato dai giudici di merito e ben lumeggiato dal Tribunale, entro lo schema del delitto di uccisione di animali”.

Gli elementi costitutivi del reato di uccisione di animali

Quanto ai requisiti, comuni alle due fattispecie, della crudeltà e dell’assenza di necessità della lesione o della morte dell’animale, giurisprudenza e dottrina ritengono che la crudeltà si identifica con l’inflizione all’animale di gravi sofferenze per mera brutalità, mentre la “necessità” si riferisce ad ogni situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile (Sez. 3, n. 49672 del 26/04/2018; Sez. 3, n. 50329 del 29/10/2015). Il che sta a significare che di certo non può parlarsi della necessità di uccidere gli animali, evocata dal ricorrente, e sussiste, invece, anche la crudeltà, ove sia accertato – come nel caso in esame – che gli animali uccisi (i due cani) non avessero messo in pericolo l’incolumità di persone e di ulteriori beni dell’imputato o di chi per lui, essendo stati soppressi senza ragione o, comunque, dopo aver compiuto l’ipotetico misfatto (l’uccisione di tre pecore), vale a dire in un momento in cui non sussisteva più l’attualità del pericolo.

Il ricorso è stato, pertanto, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Avv. Sabrina Caporale

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