Assenza del callo osseo post intervento per borsite (Corte Appello Perugia, 01/03/2023, n.151).

Assenza del callo osseo post intervento di asportazione di borsite.

Viene impugnata l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c. dal Tribunale di Terni,  con la quale era stata accolta la domanda di risarcimento del danno patrimoniale nei confronti della Azienda Sanitaria Locale  per imperito intervento chirurgico di asportazione di borsite con correzione dei tessuti molli, osteotomia del primo metatarso ed osteotomia totale del tarso e del metatarso, in seguito al quale la paziente lamentava assenza del callo osseo nonché persistenza ed ampliamento di valgismo.

La paziente si duole dell’omessa valutazione della Consulenza tecnica svolta in sede di mediazione e delle osservazioni del CTP, del mancato ristoro del danno morale e del danno da lesione del consenso informato, nonché dell’erronea compensazione delle spese di lite del primo grado di giudizio e dell’erronea ripartizione delle spese di CTU fra le parti, nella misura del 50% ciascuna.

La prima censura non è fondata.

Nell’ambito del procedimento di mediazione le parti si sono accordate circa l’utilizzabilità della Consulenza in futuro giudizio, in deroga agli obblighi di riservatezza che permeano tale procedimento.

Il Giudice di prime cure, tuttavia, disponeva l’espletamento di nuova CTU, le cui conclusioni venivano ritenute maggiormente condivisibili in ragione del puntuale richiamo alle considerazioni dei rispettivi CTP. Invece, le conclusioni del C.T. nell’ambito del procedimento di mediazione, non venivano ritenute condivisibili, in quanto ascrivevano al trattamento chirurgico effettuato dai sanitari dell’Ospedale un “profondo stato ansioso-depressivo reattivo con polarizzazione ideativa sull’evento di cui la presente è causa” sulla scorta del solo esame obiettivo della paziente, nel difetto di opportuna allegazione di parte e di documentazione specialistica comprovante siffatta diagnosi, Inoltre, omettevano di confrontarsi con le osservazione sul nesso di causalità fra il trattamento terapeutico eseguito e la ritenuta scoliosi sinistro-convessa lombare con dismetria compensatoria del bacino; omettevano anche di considerare il danno iatrogeno differenziale.

La Corte osserva che in caso di esito infausto dell’intervento chirurgico lo stato patologico pregresso (quale causa naturale preesistente) interviene a concorrere con la inesatta prestazione del professionista (quale causa umana successiva) nella produzione del danno consistito nella complessiva diminuzione della precedente capacità biologica del soggetto. Conseguentemente, è necessario distinguere l’invalidità correlata alla inevitabile complicanza derivata dalla necessità dell’intervento, da quella invece correlata all’altrimenti evitabile “maggiore” pregiudizio determinato dalla inesatta prestazione, e dunque dovendosi accertare il pregiudizio biologico differenziale tra lo stato di salute che sarebbe esitato da intervento correttamente eseguito e quello invece esitato in concreto a causa dell’errore professionale (Cassazione civile, sez. III, 11/11/2019, n. 28990).

Ciò posto, entrambi i Consulenti hanno concordato nel ritenere erronea l’indicazione al trattamento terapeutico e corretta l’esecuzione del medesimo trattamento, pur divergendo in punto di quantificazione dell’invalidità permanente sofferta dalla paziente.

Le valutazioni dei differenti Consulenti incaricati risultano parzialmente congruenti ed il grado d’invalidità permanente riconosciuto, rispettivamente, dal Consulente nominato nel procedimento di mediazione e dal Consulente tecnico di parte attrice e dai CC.TT.UU., diverge di 3 punti percentuali d’invalidità.

La circostanza che il valgismo sofferto dalla paziente si rifletta sull’intero avampiede è stata correttamente valorizzata dai Consulenti tecnici nominati nel giudizio di primo grado, unitamente alla sindrome algo-disfunzionale che ne consegue, essendo stati distinti i postumi invalidanti ascrivibili all’esecuzione di trattamento chirurgico con tecnica percutanea, non indicata in casi di valgismo medio-grave con incongruenza articolare, come eseguita nel caso di specie, ed i postumi che sarebbero comunque residuati, “anche per insorgenza di problematiche a carico dei metatarsi da considerarsi non prevenibili”.

In particolare, i CTU del primo grado hanno correttamente assunto: “quale parametro di riferimento nella valutazione dei postumi invalidanti permanenti, la voce “perdita anatomica dell’alluce” valutata nella misura del 10% dalle Linee Guida SIMLA del 2016, …….la ripercussione del valgismo sull’intero avampiede, con la sindrome algo-disfunzionale che ne consegue rappresenta un quid pluiris rispetto alla mera persistenza di alluce valgo, e il raggio, in questo caso, risulta gravato da problematiche patologiche ma non certo perduto anatomicamente (come invece prevederebbe la voce tabellare presa a riferimento orientativo)”. Ed ancora, “la situazione invalidante complessivamente quantificabile nella misura del 9%, stante il fatto che il piede risulta compromesso anche da ulteriori componenti a carico dei metatarsi, sebbene questa componente non sia derivata da responsabilità per malpractice giustifica la valutazione del cd. danno iatrogeno in misura pari a 5 punti percentuali differenziali.”

Pertanto, il Giudice di prime cure ha correttamente accertato che in conseguenza dell’erronea indicazione di intervento terapeutico di riallineamento metatarsale mediante tecnica percutanea, nonostante il valgismo medio-grave con incongruenza articolare sofferto dalla paziente, la stessa ha sofferto persistenza ed aggravamento del valgismo nonché assenza di callo osseo, quantificabili in misura pari a 9 punti percentuali di invalidità permanente, 5 dei quali risultano ascrivibili alla condotta dei sanitari dell’Ospedale di Foligno.

La censura inerente l’omessa liquidazione del pregiudizio morale è, invece, fondata.

Nel caso di specie, parte attrice ha correttamente allegato e provato di avere sofferto una profonda sofferenza morale in conseguenza della persistenza e dell’aggravamento del valgismo nonché della mancata formazione del callo osseo causalmente ascrivibili all’erroneo trattamento terapeutico eseguito dai sanitari derivante dalla difficoltà di attendere alle ordinarie mansioni della vita quotidiana in conseguenza del persistente dolore al piede, dall’impossibilità di praticare attività sportiva, cui era abitualmente dedita, e di indossare calzature con tacco nonché dalla vergogna di indossare calzature aperte durante la stagione estiva.

La liquidazione del detto pregiudizio morale viene valutata in misura pari al 20% della somma liquidata a titolo di danno biologico permanente, per complessivi € 1017,00.

Conclusivamente, l’appello è accolto limitatamente a quest’ultima voce di danno.

Avv. Emanuela Foligno

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