Respinto il ricorso di un uomo accusato di estorsione per aver ripetutamente usato violenza fisica e verbale nei confronti dei congiunti al fine di ottenere soldi da impiegare nel gioco d’azzardo; per la Cassazione è corretta la qualificazione del reato, non si tratta di esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Era accusato di maltrattamenti in famiglia, estorsione e tentata estorsione per aver ripetutamente usato violenza sia fisica che verbale nei confronti dei genitori al fine di ottenere somme di denaro da destinare al gioco di azzardo ed in particolare di essersi scagliato contro il padre con pugni e calci per ottenere 100 euro. Il Tribunale per il riesame delle misure cautelari personali aveva quindi confermato nei suoi confronti l’applicazione della massima misura custodiale.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte di Cassazione l’uomo deduceva, tra gli altri motivi, che l’ordinanza impugnata sarebbe stata illegittima nella parte in cui aveva qualificato il fatto come estorsione piuttosto che come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non valorizzando l’elemento soggettivo della condotta che esprimeva la sua volontà di ottenere dai genitori il denaro necessario al suo mantenimento.

I Giudici Ermellini, tuttavia, con la sentenza n. 22508/2020, hanno ritenuto la doglianza inammissibile.

Dal tessuto motivazionale dell’ordinanza impugnata, infatti, era emerso che le condotte violente, oltre a sortire l’effetto costrittivo tipico del reato di estorsione erano anche funzionali ad avere denaro disponibile per il gioco d’azzardo, dunque non funzionale al mantenimento: si trattava, quindi, di una pretesa sfornita di tutela giudiziaria che escludeva a priori l’invocato inquadramento della condotta nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni previsto dall’art. 393 del codice penale.

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